Qualche mese fa, in occasione di uno di quei compleanni importanti che segnano un confine, anche se non lo scegli, il mio corpo aveva cominciato a mandarmi segnali. Non richieste clamorose, ma sottili, insistenti, come un sussurro che non puoi ignorare. E così, inaspettatamente, mi sono ritrovata ad affrontare un’operazione e un post-operatorio impegnativo che mi hanno costretta a fermarmi.
Già da tempo sentivo il bisogno di ritirarmi, di trovare un ritmo tutto mio. Non un silenzio di fuga, ma uno spazio dove potermi ascoltare davvero. Un silenzio che non fosse assenza, ma respiro.
Ero stanca di correre, di dover esserci sempre, di pubblicare, di raccontare. In quei momenti ho capito che il blog, i social, tutto quello che avevo costruito, per come li avevo sempre usati, erano lontani, quasi fuori portata. Non avevo più energie né parole per quel rumore. Volevo solo il coraggio di mettere tutto in discussione. Ma c’era una sensazione, come un piccolo seme piantato nel profondo: qualcosa stava per cambiare, anche se ancora non riuscivo a dargli un nome.
Poi, attorno al mio compleanno, mi sono sentita rinata. Per un attimo, tutto sembrava essersi allineato. Un respiro profondo, come una parentesi luminosa in cui mi sentivo libera, fisicamente e mentalmente, di riorganizzare la mia vita e le mie priorità. Ma, come a volte accade, poco dopo il problema è tornato: più forte, più invadente. E la mia priorità è tornata ad essere una sola: prendermi cura di me stessa. I social, il blog, tutto il resto… erano lontani. Non avevo più parole per stare nel rumore. E così, senza neanche accorgermene, mi stavo preparando a un cambiamento che ancora non sapevo definire. Ma qualcosa stava davvero cambiando.
Poi, proprio quando sembrava che la vita si fosse finalmente rallentata, e io, fisicamente provata, mi stavo preparando per un ulteriore intervento, è successo qualcosa che nessuno può prevedere. La mia vita è andata in frantumi. Ho perso entrambi i miei genitori in un tragico incidente. E con loro, tutto è cambiato davvero. Con la consapevolezza che, da quel momento, nulla sarebbe stato più lo stesso.

Quando una perdita del genere arriva senza preavviso, non c’è un manuale per affrontarla. Ti ritrovi a fare i conti con il dolore, ma anche con l’immediata necessità di affrontare l’operazione, di restare lucida. Perché, in qualche modo, non puoi permetterti di crollare, almeno non subito. Pensavi che, tra le cose dei tuoi genitori, avresti trovato un modo per accettare la loro dipartita. Credevi che, immersa tra i loro oggetti, il dolore sarebbe stato più facile da accogliere, che avresti potuto sistemare, quasi meccanicamente, ciò che restava di loro. Tra i ricordi, avresti trovato la strada per affrontare l’ineffabile.
Ma la verità è che, fisicamente provata dall’operazione, il tuo corpo ti impediva di aprire davvero quel vaso di Pandora. Dovevi mantenere il controllo. Non potevi permetterti di crollare nel dolore, non ancora. La tua mente era concentrata su tutto ciò che dovevi fare, sui prossimi passi da compiere, su come tenere tutto sotto controllo. Non c’era tempo per fermarti e lasciarti andare. Sentivi che per andare avanti, dovevi fare ordine nel mondo esterno, nelle cose, per non essere sopraffatta dal caos che cresceva dentro di te.
E così, tra la necessità di affrontare la tua salute e il desiderio di tornare nella casa dei tuoi genitori, ti sei ritrovata a cercare di fare i conti con una verità che non riuscivi a guardare in faccia. Non c’era fretta di mettere a posto le loro cose, non era quello l’importante. Il vero scopo era prendere coscienza della loro assenza, di quella verità che, senza pietà, ti stava travolgendo.
Non è mai solo una questione di fare ordine tra le cose di chi amiamo. Non è solo sistemare stanze o oggetti. Il vero compito, in quei momenti, è fare i conti con l’assenza, una verità che ti travolge senza pietà. E mentre la casa si fa vuota, il mondo fuori sembra continuare a correre, io mi trovo a fare ordine dentro di me. Non c’è fretta di mettere a posto. Il vero scopo è prendere coscienza, lasciar andare e accogliere.
Quello che, in un certo senso, pensavo di avere sotto controllo — la vita, i sogni, i progetti — ha perso il suo posto. E così, con il cuore che si sgonfia, scopro che le priorità cambiano, che non è mai troppo tardi per rinnovarsi, per rialzarsi. E con un coraggio che non pensavo di avere, mi rendo conto che non devo correre dietro al mondo esterno, né alla perfezione che spesso ci impone. La perdita mi ha insegnato che, anche nei momenti di silenzio e cambiamento, la vita può offrire nuove possibilità, se ci si concede il tempo di riconoscerle e accoglierle.
Per questo, proprio mentre il mondo intorno a me si è sgretolato, provo a fare spazio a quello che c’è adesso. Alle cose che restano, e a quelle che cambiano. Non so dove sto andando, ma sto provando a stare dove sono. A modo mio.
Non solo riorganizzando la casa, ma anche ripensando ciò che mi riguarda, incluso il blog. Un viaggio iniziato nel 2010, quando sono arrivata in Svezia, che oggi ha bisogno di evolversi con me.
Il blog è cambiato, più leggero nei contenuti, ma niente è stato eliminato senza fatica. Ogni parola scritta finora è stata parte del percorso. Ho scelto di fare spazio, anche lì, per lasciare entrare aria nuova.
E se anche tu stai vivendo un cambiamento, forse questo racconto — e il modo in cui cerco di orientarmi tra dolore, memoria e quotidianità — potrà esserti utile. O almeno, farti compagnia.
Antonella